Quel ramo della Torretta con la busta di cocaina penzolante
Scritto da Francesco Cipriano
26 febbraio 2025
Chissà cosa avranno pensato, vedendo quella busta di plastica contenente 157 grammi di cocaina penzolare dal ramo di un albero. Perché i Carabinieri ne vedono di ogni sorta, ma certe scene rimangono impresse. Increduli, magari sorpresi, ma certamente non ricreduti sulle nozioni più basilari di botanica: perché le buste di cocaina mica crescono sugli alberi e sicuramente non alle nostre latitudini.
La pianta di coca infatti viene coltivata in Sud America e sintetizzata fino a ricavarne cocaina; che viene poi comprata da grossisti di diverse organizzazioni criminali e rivenduta ad altre organizzazioni criminali; e infine ceduta al cliente dallo spacciatore.
Di sicuro, la cocaina non cresce sugli alberi in Sicilia.
Siamo nelle montagne di Torretta, nelle vicinanze della contrada Favarotta, non nell’Eden. Eppure i Carabinieri che stanno perlustrando la zona finalmente trovano quello che cercavano: il frutto proibito.
Alt
Per capire cosa è successo quel giorno, bisogna fare un salto a quello precedente.
Il 28 marzo 2022 i Carabinieri di Torretta hanno predisposto un posto di blocco all’incrocio tra la Via Mattarella e la Strada Provinciale 3Bis che scende dalla montagna (per intenderci: all’altezza della cappella dell’ Armuzzu Priaturi), quando notano una Smart con a bordo due giovani. All’ Alt della paletta alzata, però, l’auto frena bruscamente, quindi ingrana la retromarcia e si dà alla fuga. I Carabinieri partono all’inseguimento ma ritrovano l’auto abbandonata in località Favarotta, all’altezza dell’acquedotto comunale.
Dei due occupanti nessuna traccia.
Fuga in campagna
Quello che succede in quei minuti concitati lo apprendiamo dalle intercettazioni telefoniche, perché i due fuggitivi non sanno di essere monitorati dai Carabinieri che stanno indagando sulla piazza di spaccio di Carini.
S. A. e M. G. sono accusati dalla Procura di Palermo di essere stati i responsabili del rifornimento della cocaina che la banda di Carini, che farebbe capo ad A.Z., trasformava poi in crack. Un rifornimento continuo, anche più volte al giorno. Anche quel giorno.
Subito dopo aver abbandonato l’auto, i due si danno alla fuga a piedi, inoltrandosi nelle campagne di Torretta.
Uno dei due chiama la propria compagna usando il telefono del socio:
“Oh, male che va la macchina tu non lo sai dov'è, sei lasciata con me, capito? ah” la avvisa.
Ma la compagna, tra l’altro proprietaria dell’auto, vuole sapere dove si trova la sua Smart.
“Oh ma dov'è la macchina?” chiede lei.
“Sono nella montagna nascosto che mi hanno inseguito” risponde lui.
“E che minchia me ne fotte a me!” sbotta lei.
Sacrificare una pedina
Dopo un paio di ore i due fuggitivi riescono a raggiungere Carini. Si trovano in compagnia di A.Z., che dall’utenza telefonica di M.G. telefona a un suo sottoposto che si occupa dello spaccio al dettaglio del crack. Senza troppi giri di parole, gli ordina di consegnarsi ai Carabinieri e dichiarare che si trovava lui alla guida dell’auto abbandonata in zona Favarotta di Torretta.
“Va bene” gli risponde il sottoposto.
Come scrivono i magistrati, A.Z. “inganna” la pedina da sacrificare “verosimilmente contando sul fatto che in sede di processo avrebbe potuto dimostrare che non era lui alla guida del mezzo, e comunque sacrificando una figura meno importante nella sua organizzazione dello spaccio”.
D’altronde uno spacciatore al dettaglio è facilmente sostituibile, mentre il rifornitore è una pedina più importante.
Ritorno sulla scena del crimine
Sempre intercettati, M.G. e S.A. cercano immediatamente di riorganizzarsi. Sono loro stessi ad ammettere di aver perso una cifra considerevole, tra i 6.000 e gli 8.000 euro.
Sono anche consapevoli di essere sfuggiti alla galera, nonostante il danno economico patito.
Dice uno all’altro:
“Parrì, le cose quando devono succedere succedono... (..).. forse è stato meglio che c'è finita così che (...) arrestati che minchia facevamo…”.
“Sì parrì, però…” risponde l’altro.
E quel “però” porta i due soci a fare un passo falso: probabilmente nel tentativo di recuperare qualcosa di cui si erano sbarazzati, il giorno dopo ritornano a Torretta, proprio nella zona da cui era iniziata la fuga. E lì vengono identificati dai Carabinieri.
Il frutto proibito
I militari di Torretta, coadiuvati dai colleghi del Nucleo Investigativo di Palermo, partono dal luogo in cui il giorno prima era iniziata la fuga. Probabilmente immaginando che i due si erano sbarazzati della droga gettandola fuori dal finestrino dell’auto in corsa, i Carabinieri iniziano a perlustrare le campagne circostanti. Ed è proprio lì, tra ulivi ed erba incolta, che alzando lo sguardo uno di loro nota una bustina di cocaina appesa a un albero.
La busta contiene 157 grammi di cocaina. I successivi accertamenti tecnici effettuati dal LASS del Comando Provinciale CC di Palermo stabiliranno che la sostanza sequestrata era composta da un miscuglio costituito a base di cocaina con una percentuale media di purezza del 69,13%, equivalente a 104,248 grammi di cocaina pura, pari a 694,98 dosi medie singole. Per un valore di mercato, secondo gli stessi indagati, che oscilla tra i 6000 e gli 8000 euro.
Nuova peste
I componenti della banda che gestiva lo spaccio di crack Sotto l’Arco nella centrale Piazza Duomo di Carini sono stati tutti arrestati nella recente operazione antimafia condotta dai Carabinieri. Secondo la Procura, l’attività di spaccio era stata approvata dalla locale cosca mafiosa.
Se Alessandro Manzoni avesse ambientato “I Promessi Sposi” nella Sicilia contemporanea dove la nuova peste è il crack, chissà se fra malandrinerie, fuitine, bravi e Innominabili, avrebbe iniziato il romanzo con l’incipit:
“Quel ramo della Torretta, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, con la busta di cocaina penzolante…”