CINISI - Vera Abbate e il paragone con la Striscia di Gaza


Scritto da Francesco Cipriano


Che le elezioni comunali siano un terreno di battaglia in cui si scontrano le varie anime del paese lo si è sempre saputo. Ma se per Nino Vitale si tratta di un match di pugilato, ad alzare il tiro ci pensa Vera Abbate, paragonando la periferia di Cinisi addirittura alla Striscia di Gaza.

Domenica 26 maggio, la lista Cinisi Vera tiene un comizio in contrada Presti Camarrone, di fronte al Cimitero comunale. Una zona di confine tra Cinisi e Terrasini in cui i residenti lamentano disservizi e forse anche una crisi identitaria: sono cinisari o favarottari?

Vera Abbate abita proprio in quella zona: non solo fisicamente, ma anche spiritualmente: o almeno secondo i suoi detrattori che la accusano di essere più favarottara che cinisara.

Allora Vera Abbate sceglie proprio la zona di confine per porre fine ai dubbi e trovare una soluzione al campanilismo che contrappone i due paesi.

Non passano nemmeno un paio di minuti, che con un mezzo sorriso dice al pubblico:

“Sapete come la chiamo questa zona? La Striscia di Gaza”.

E qui cala il gelo, si sente in sottofondo qualche risatina, ma poi silenzio. Allora Vera Abbate cerca di riprendersi e affronta di petto i problemi: parla di degrado, di abbandono, dei problemi idrici. E la soluzione è lì a portata di mano: sinergia.

“La risposta è nella sinergia. Collaborare. Siamo due paesi che hanno un territorio compatto, la popolazione integrata l’una con l’altra: 50% dei cinisari sono sposati con favarottari e viceversa. Devono collaborare insieme. Questa remore che sbattono continuamente sulla mia testa che se un giorno io amministrerò regalerò il paese a Terrasini mi sembra un retaggio medioevale. Potremmo costruire con Terrasini tante cose che porterebbero tanti vantaggi ai due paese. Vi faccio un esempio stupido: tante persone che abitano qui, per motivi logistici, vanno a fare la spesa a Terrasini".

Poi si ferma e specifica:

“Io comunque non la vado a fare la spesa a Terrasini, come dice qualcuno: è da 28 anni che non faccio la spesa, la va a fare mio marito, purtroppo non sono una madre di famiglia brava brava, perché spesa non ne so fare, mio marito è più bravo di me”.

Quindi propone quanto segue: di istituire strisce blu comuni tra i due paesi, con gli stessi prezzi; richiedere congiuntamente dei finanziamenti per la costruzione di un impianto sportivo, da edificare a Cinisi, fruibile anche dai cittadini di Terrasini, e allo stesso modo rendere fruibile la piscina comunale di Terrasini ai residenti di Cinisi.

Per poi rilanciare una seconda volta il paragone con la Striscia di Gaza:

“Perché non fare volontariato insieme, proprio nelle parti che ricadono nella Striscia di Gaza?”

Infine Vera Abbate conclude:

“Forse non siamo in Europa? Forse il muro di Berlino non è caduto nell’89? Perché lottare contro Terrasini? Siamo due paesi ma un’unica comunità: e io il mio paese non me lo vendo, state tranquilli!”

Il paragone

Che il paragone con la Striscia di Gaza sia un tantino esagerato lo possiamo evincere da qualche fatto lampante: innanzitutto, Cinisi non è stata (ancora) rasa al suolo dai bombardamenti; i cinisari non vivono in una prigione a cielo aperto (certo, alcuni compaesani sono all’ergastolo, ma per altre vicende); negli ultimi mesi non ci sono state circa 30.000 vittime; e no, nessun esodo di massa, al limite diversi giovani che emigrano all’estero per trovare lavoro.

Nino Vitale, durante il comizio di ieri sera, ha duramente attaccato il paragone di Vera Abbate rimarcando che fosse offensivo nei confronti delle migliaia di bambini morti nell’ultimo conflitto israelo-palestinese.

Eppure, per quanto sia stato indubbiamente un paragone azzardato e fuori luogo, possiamo trovare delle azzeccatissime analogie tra il conflitto in Medio Oriente e il campanilismo tra cinisari e favarottari. Proviamo per un attimo a usare l’immaginazione e rileggere la storia dei due paesi attraverso una lente grottesca. Anche perché non ci sono dubbi su chi tra Cinisi e Terrasini sia la Palestina e chi Israele.

Breve storia satirica del conflitto tra Cinisi e Terrasini.

Non ci sono dubbi: Cinisi è la Palestina, Terrasini è Israele.

In quest’ottica, possiamo immaginare i corrispettivi politici: per l’OLP abbiamo Salvatore “Cinniredda” Palazzolo come un locale Yasser Arafat mentre Giangiacomo Palazzolo è Abu Mazen. Nino Vitale, nome di battaglia “U Turcu” è sicuramente a capo dell’ala militare di Hamas: d’altronde ai comizi parla già un arabo fluente.

Il sindaco favarottaro Giosuè Maniaci è Benjamin Netanyahu e le lottizzazioni di Terrasini una perfetta metafora del colonialismo israeliano.

Ma Vera Abbate? Secondo i suoi detrattori, il paragone più prossimo è Golda Meir, la politica ucraina naturalizzata israeliana.

Le ragioni del conflitto tra Cinisi e Terrasini si perdono nella notte dei tempi, quando la zona era abitata da diverse tribù spesso in lotta tra loro. Da una parte i Favarottari, tribù di pescatori; dall’altra i Cinisari, popolo nomade dedito alla pastorizia e devoto alla Vacca Cinisara, animale così sacro che non può mancare a un’ arrustuta che si possa definire tale.

3000 anni fa iniziò l’esodo dei Favarottari che si dispersero nel mondo: bistrattati, relegati in ghetti, discriminati e accusati di arricchirsi praticando l’usura. Un luogo comune che durerà secoli e che ispirerà Shakespeare nella stesura del dramma “Il mercante di Terrasini” in cui il personaggio Skylock, nel terzo atto, recita la famosa battuta: “Un favarottaro, non ha occhi? Non ha mani, un favarottaro, membra, corpo, sensi, sentimenti, passioni? Non si nutre della stessa ricotta salata di un cinisaro? E se ci offendete le mamme, non abbiamo forse il diritto di rispondere con una timpulata?”.

Finché alla fine del XIX secolo nacque un movimento politico denominato “Favarottarismo” che prevedeva il ritorno dei favarottari nella Terra Promessa, il Grande Paese di Terrasini. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale e allo sterminio di 6 milioni di Favarottari, questi tornarono in massa e nel 1948 fu creato il Comune di Terrasini.

Seguirono anni di guerre e tensioni nella regione: la crisi del Canale Furi nel 1956, nel ’67 la Guerra dei Sei Giorni che vide contrapposta Terrasini ai comuni del comprensorio, poi l’attentato alle Olimpiadi di Piano Monaco nel 1980. E così nei decenni successivi: vari scontri che videro la superiorità militare dei Favarottari, il cui corpo di Polizia Municipale è uno dei più spietati al mondo. Per non parlare degli Ausiliari del Traffico, i servizi segreti paesani: dopo l’attentato alle Olimpiadi di Piano Monaco rintracciarono e multarono tutti i responsabili cinisari.

Perché nel frattempo Cinisi si era radicalizzata: e allora aerei dirottati all’aeroporto di Punta Raisi, attentati ai turisti di Città del Mare, intifada contro gli infedeli Favarottari e scritte sui muri: “Cinisi libera” e “Suca Terrasini

Fino ai giorni nostri: in seguito a un vuoto di potere causato dall’esilio di Giangiacomo “Abu Mazen” Palazzolo, quest’ultimo fu rimpiazzato da un Commissario dell’Onu in attesa di nuove elezioni. Ma lo scorso ottobre un gesto eclatante: centinaia di fuochi d’artificio della Festa di Santa Fara partirono da Cinisi diretti sul territorio di Terrasini. E poi decine di combattenti cinisari, a bordo di Vespe truccate con marmitte Polini, violarono i confini rapendo circa 200 cittadini favarottari per tenerli prigionieri nei famosi tunnel scavati sotto la Chiusa.

Shock del mondo, Terrasini che come suo solito reagisce con estrema durezza e sproporzione, manifestazioni in sostegno dei cinisari bombardati, la facile accusa di antifavarottismo e il delicatissimo equilibrio mondiale che rischia di crollare.

Cessate il fuoco

Dalla soluzione “Due popoli, due Stati” a “Due paesi, una comunità” il passo è breve, ma sarebbe indispensabile un cessate il fuoco: è vero che siamo in campagna elettorale e uno scivolone può capitare a tutti, ma forse bisognerebbe ritornare con i piedi per terra e riacquistare un certo senso della misura.

Perché non siamo in Medio Oriente ma nella noiosa provincia palermitana, dove le pozzanghere di fango che ci sporcano le caviglie scoperte dai risvoltini non sono minimamente paragonabili allo tsunami di sangue e merda in cui annega il popolo palestinese.


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