Cronaca di una ricerca: ore di angoscia per Antonino D’Amico
Scritto da Francesco Cipriano
La Statale 113 di notte ha un aspetto spettrale, squarciata a intermittenza dalle luci blu di un pick-up dei Vigili del Fuoco e di una volante dei Carabinieri che la percorrono a velocità sostenuta. I due mezzi imboccano la strada di Contrada Paternella, a Terrasini, una zona residenziale che si affaccia sulle splendide scogliere favarottare. Dopo aver percorso Via Torre Toledo giungono presso un anonimo complesso residenziale con all’ingresso un cartello bianco con su scritto Residence Costa delle Grotte. Il cancello è aperto, a una decina di metri si intravede la presenza di due gruppi di ragazzi che avranno circa vent’anni. C’è un altro camion dei pompieri posteggiato, sul fondo della strada in discesa che conduce verso la scogliera si intravede un’ambulanza posteggiata e pronta a partire in caso di necessità. Quell’ambulanza però sta aspettando da circa quattro ore.
Erano all’incirca le 17,30 di mercoledì 11 settembre quando due ragazzi di Partinico poco più che ventenni si trovavano in Contrada Paternella per un bagno di fine estate, quando sono stati probabilmente travolti da un’onda (la dinamica dei fatti è ancora da accertare) finendo in balìa del mare agitato. Dopo una ventina di minuti il primo, Daniel Ghiveci, è riuscito a raggiungere la riva e mettersi in salvo. Del secondo, Antonino D’Amico, non si hanno più notizie.
Le ricerche sono state immediatamente attivate grazie al supporto di Guardia Costiera, Carabinieri, Vigili del Fuoco, sommozzatori e un elicottero della Polizia. Informato dei fatti, il primo cittadino della località balneare, Giosuè Maniaci, ha offerto il supporto della comunità marinara mettendo a disposizione mezzi e uomini, ma le condizioni del mare non lo hanno permesso.
Cinque ore dopo la sua scomparsa, di Antonino D’Amico non si sa nulla.
Col sopraggiungere del buio però le ricerche sono diventate più complesse.
I due Carabinieri e la squadra di Vigili del Fuoco hanno percorso la stradina in discesa che porta alla scogliera per raggiungere i colleghi che da ore sono sul posto per dirigere le ricerche. Quella zona è riservata ai soccorritori e ai familiari nel frattempo giunti sul posto. In cima alla strada, divisi in due gruppi, ci sono gli amici di Antonino. Hanno all’incirca vent’anni, si sono precipitati qui da Partinico appena giunta la notizia della scomparsa. E lì in mezzo c’è Daniel, sopravvissuto al terribile incidente. Indossa ancora il costume e porta ai piedi le infradito. Questa è probabilmente la notte peggiore della sua vita, i suoi amici sono qui a fargli da scudo.
Dall’oscurità della strada ecco riemergere la figura di un uomo, avrà circa 45 anni, torna in macchina a prendere qualcosa per poi ripercorrere lo stesso cammino in senso opposto. È il titolare della pizzeria dove lavora come aiuto pizzaiolo Antonino D’Amico, il ragazzo scomparso. L’uomo ha l’espressione sconvolta, completamente assente.
Dal fondo della strada risale un altro uomo, un vigile del fuoco che ritorna al camion. Mi dice che interromperanno le ricerche, che i sommozzatori e l’elicottero sono andati via ma è rimasta la motovedetta a fare le ricerche. Dovranno aspettare le prime luci dell’alba per poter lavorare meglio. L’uomo è visibilmente pensieroso e provato, per qualche istante se ne sta immobile a fissare la strada da cui è tornato, come se volesse trovare un modo di essere d’aiuto ma allo stesso tempo prendesse coscienza di doversi momentaneamente arrendere. Poi risale la strada e come un padre se ne sta immobile a vigilare sul gruppo di amici di Antonino, quando uno di essi crolla in un pianto disperato e con voce rotta ripete “Perché, Nino, perché?”. L’uomo che per professione spegne incendi e salva vite, vorrebbe essere d’aiuto anche in quest’occasione, quando un dolore insanabile assale dei ragazzi poco più che ventenni; se ne sta lì, forse in cerca di parole che sarebbero insensate in questo momento o del coraggio di propendersi in un abbraccio a una persona sconosciuta; eppure l’uomo rimane lì, compartecipe del dolore, un dolore che assorbe giacché la sua tuta ignifuga non ha nessuna utilità in questo caso; a conti fatti è un vigile del fuoco che fa il suo mestiere: vigila.
Nel frattempo sul bordo della scogliera la speranza rifiuta di soccombere alla disperazione. Al posto si accede dopo aver percorso l’intera strada in discesa, percorrendo un tratto pedonale e dopo aver superato una nuvola di vegetazione che invade il sentiero. Si giunge dunque a una piccola piana che affaccia sulla grandezza del golfo, a quest’ora totalmente immerso nel buio più nero. Lì in mezzo al mare una motovedetta che proietta un lungo fascio di luce che spacca la notte. E a osservare le operazioni di ricerca dall’alto, oltre alla squadra di soccorritori, ci sono i familiari di Antonino D’Amico. Sono immobili nel buio, costretti a fissare la notte.
Lentamente i presenti lasciano il luogo e si apprestano a risalire la strada, costretti dalla notte a rimandare al mattino le operazioni di ricerca. Ad aprire il corteo ci sono due Carabinieri. Poi spunta una ragazza che con passo lento ritorna in cima alla strada, l’aria di chi sta elaborando una consapevolezza che non avrebbe mai voluto avere.
E infine dal buio compare la madre del ragazzo, sorretta da un uomo, il corpo privato di forza e abbandonato a un pianto disperato, il viso scavato da lacrime nuove, inaspettate e profondissime.
A breve distanza fanno la loro comparsa i vigili del fuoco che ritornano al camion con sulle spalle l’attrezzatura e il peso di un salvataggio che non ha raggiunto risultati. Hanno un passo lento e pesante ma si trascinano in cima alla pendenza. Torneranno domani, anche se il trascorrere del tempo riduce conseguentemente le speranze.
Quando la madre di Antonino D’Amico giunge in cima alla strada di accesso al residence e si ferma in mezzo al piccolo piazzale, il tempo sembra cristalizzarsi. L’uomo che la sorreggeva si allontana per recuperare l’auto, mentre la ragazza di prima si avvicina alla donna per sorreggerla in un abbraccio che diventa presto un pianto condiviso. Le due donne rimangono per momenti interminabili avvolte in un abbraccio, circondate dal buio e illuminate dalla tenue luce di un lampione. Ogni cosa intorno ammutolisce: i Carabinieri, i pompieri, gli amici; anche il vento che risuona tra il fogliame degli alberi smette di produrre suono, così come i grilli smettono di cantare, il tempo sembra fermarsi in segno di religioso rispetto. Null’altro esiste, se non il dolore di questa madre.
Il dolore di una madre che perde un figlio è un elemento così universale da essere diventato un cardine religioso, come la Madonna per i cristiani. Nella processione del Venerdì Santo c’è un momento molto toccante, il climax di una rappresentazione dolorosa che vede portato in giro per il paese l’urna con il Cristo morto e a breve distanza la statua della madre, la Madonna. Nel momento finale le due effigie, poste l’una di fronte all’altra, si ricongiungono in una danza finale, quella della Madonna con il corpo del figlio morto, in un ultimo gesto materno di profonda umanità: quello di cullare il proprio figlio.
Un diritto che il mare ha voluto negare a questa madre e che i soccorritori tentano ostinatamente di restituire.
Ultimo aggiornamento: Ritrovato il corpo di Antonino D’Amico