Non fatevene un cruccio: Storia di un duello
Negli anni ‘20 dello scorso secolo, a Torretta, la rivalità oratoria tra un nobile e un borghese degnerò in un duello di spada all’ultimo sangue.
Tommaso Scalici ci racconta questo aneddoto familiare che vide protagonista suo bisnonno.
Scritto da Tommaso Scalici
Se dovessi tornare tra i banchi di scuola e la domanda d’esame fosse “Mi parli dell’evoluzione della classe borghese tra la fine ‘800 e inizi del ‘900”, certamente racconterei del duello di un barone e del giovanotto borghese.
La Sicilia e Palermo, in quel periodo, vivevano un’epoca d’oro. I Florio avevano trasformato la città in una fucina d’arte, progresso e vita mondana. Sì, proprio i Florio, prima commercianti e poi armatori e grandi industriali avevano rubato la scena ai nobili italiani e ai discendenti delle dinastie filoborboniche. Insomma, la società ormai si era evoluta e il sangue blu stava per essere soppiantato dall’olio motore che lubrificava il volano del progresso sociale.
Immagino fosse una situazione frustrante per chi un tempo godeva dei privilegi dell’aristocrazia ma si vedeva piano piano sostituito nel ruolo di autore delle pagine di storia. E fu proprio così che la scontro tra le classi si fece sempre più aspro. Non violento, ma quasi grottesco, “fondato su una voluta sproporzione degli elementi costitutivi di un momento drammatico”.
A dire il vero, almeno dalle mie parti, questa contrapposizione si trascinò per almeno un trentennio assumendo caratteri talvolta scombinati: i borghesi e i nobili banchettavano assieme anche se in fondo si mal tolleravano. Un equilibrio piuttosto precario che spesso veniva messo a dura prova e collassava al minimo soffio di vento.
Genesi di un duello
Cari lettori, è proprio questo quello che successe: per una serie d’eventi concatenati con la precisione di un meccanismo svizzero, stava per finire in guerra.
Ma fatemi fare un passo indietro: nei primi anni ’20 del secolo scorso, in occasione di una commemorazione a Torretta, fu invitato Vittorio Emanuele Orlando a ricordare Domenico “Cocò” Miceli, aviere caduto al fronte. Il viaggio in carrozza, tuttavia, non permise all’allora Presidente del Consiglio dei Ministri di arrivare in tempo e i convenuti più indolenti decisero di affidare il ricordo a un giovane borghese neolaureato con formazione gesuita: il mio bisnonno, Pietro Merendino.
L’imbarazzo fu grande quando, nel bel mezzo del discorso, Orlando arrivò e si mise ad ascoltare tra il pubblico. Alla fine del ricordo, per cortesia, venne chiamato a intervenire ma si limitò a dire testualmente “Nulla da aggiungere alle parole del giovane Merendino”. Mio bisnonno fu quindi inserito nell’albo ufficiali degli oratori.
Poco tempo dopo fu organizzata una “mangiata” in campagna. Io me li immagino i borghesi e i nobili a quella scampagnata. Con la loro eleganza fuori contesto a scherzare e sparlottare. Tutto come nei film, fin quando mia bisnonna, Domenica “Milla” Bellone, volle elogiare il marito e disse: “Non fatevene un cruccio: nessuno sa parlare in pubblico come mio marito”. La moglie del Barone Pancamo, lì presente, udendo quelle parole diventò paonazza e si offese.
Alla successiva commemorazione di Miceli si presentò l’occasione per il casus belli: mio bisnonno si trovava su di un balcone a mostrare le sue capacità retoriche quando inaspettatamente il Barone Pancamo, suo amico, si affacciò da un balcone molto vicino e anche lui cominciò a esibirsi nell’arte oratoria sotto gli occhi della moglie fiera e impettita.
A quel punto Pietro si interruppe, scese dal balcone e si posizionò ad ascoltare fino alla fine, fino a quando il Barone non scese a ricevere le congratulazioni. Nondimeno, la sorpresa era lì ad attenderlo. Il mio bisnonno tirò fuori un guanto e lo schiaffeggiò pubblicamente! Quel gesto aveva una naturale conseguenza: duello di spada al primo sangue!
Seguirono giorni concitati. Il gesto del mio bisnonno fu quantomeno avventato anche in considerazione del fatto che lui, una spada, non l’aveva mai tenuta in mano e aveva sfidato un provetto schermidore. Ma ormai era tardi e con atto notarile si decise una data e le regole del duello.
Pietro prese lezioni di scherma ma, diciamolo, era negato…
Epilogo
Mi piace pensare che tutto si sia risolto con una risata. Una di quelle che significano “Okok, lo ammetto, l’ho fatta fuori dal vaso” e che l’amicizia sia stata più forte delle gelosie. Il giorno del duello arrivò ma il clangore delle spade fu sostituito da un abbraccio e da applausi concilianti dei presenti.
Tutto è bene quel che finisce bene.