La storia dei tredici pescatori di Terrasini e dei migranti soccorsi a Lampedusa
All’alba di giovedì 11 luglio 2024 il peschereccio Trilona con a bordo 13 pescatori di Terrasini presta soccorso a una barca di migranti in difficoltà al largo di Lampedusa.
Compaesano ha intervistato il Comandante Ottavio Caponetti che ci ha raccontato la sua storia.
Scritto da Francesco Cipriano
Ci sono due barche, ognuna con due gruppi diversi di persone a bordo, che si incontrano all'alba in mare aperto. Nella prima barca ci sono 13 pescatori, tutti di Terrasini; nella seconda 35 migranti provenienti dall'Africa subsahariana. Questi due gruppi di persone che non si erano mai incontrate prima e che probabilmente non si vedranno mai più, per circa un'ora sono uno di fronte all'altro, in mare aperto, a guardarsi l'un l'altro.
Questa è la loro storia, una storia di uomini, mare e solidarietà.
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Ottavio Caponetti è un pescatore di 56 anni originario di Terrasini. Insieme al fratello Paolo possiedono la Trilona, una barca da pesca di cui il primo è il Comandante, il secondo motorista.
"Ma si muove in barca meglio di me" tiene a precisare Ottavio riferendosi al fratello.
Un lavoro ereditato dal padre e dal nonno che ora impegna i fratelli Caponetti che hanno passato tutta la vita in mare.
"È una vita che faccio il pescatore, io sono nato a mare. Da generazioni, prima mio nonno, poi mio padre e infine io. Abbiamo costruito la barca e abbiamo fatto la lampara in tutta Italia: siamo stati in Toscana, in Adriatico, in questo periodo a Lampedusa. Ci spostiamo sempre perché facciamo pesca del pesce azzurro, dell'acciuga, della sardina" racconta Ottavio Caponetti.
"Iniziamo a marzo e finiamo a novembre, è da tre mesi che in Sicilia un’ acciuga non c'è, quindi siamo stati costretti a venire qui nelle isole, che nel periodo giugno - luglio si viene a pescare tra Pantelleria e Lampedusa. Un po' di pesce lo abbiamo trovato, ma veniamo da tre mesi in cui non guadagniamo, perché noi marinai non veniamo pagati al mese: se peschiamo guadagniamo, se non peschiamo non guadagniamo nulla. Non siamo stipendiati, dobbiamo pescare per guadagnare".
È dunque la necessità di campare che spinge i tredici pescatori di Terrasini a inseguire il pesce azzurro nel Mediterraneo fino ad arrivare al largo di Lampedusa.
Alle prime ore di giovedì 11 luglio la Trilona naviga a 40 miglia dall’isola.
"Eravamo in pesca, poi alle tre e mezza - quattro si è alzato il vento, quindi abbiamo fatto una calata, abbiamo buttato le reti a mare e abbiamo pescato un po' di pesce. Ci sono state altre 5-6 barche di paesani nostri che hanno avuto un mare di problemi: chi ha perso la rete per il tempo, chi ha perso il battello, chi ha imbarcato acqua e chi gli sono caduti marinai a mare e li hanno recuperati. C'era tempo grosso, anche noi abbiamo rischiato. Poi ci siamo messi in navigazione verso Lampedusa, eravamo a metà strada con Pantelleria" racconta il Comandante Caponetti.
Sono le 05.45, la Trilona si trova a circa 15 miglia da Lampedusa. L'equipaggio si trova sottocoperta, quando all'improvviso sentono quelle che sembrano essere delle urla.
O come ci dice in siciliano Ottavio Caponetti:"Buttavano voci". I pescatori allora spengono i motori, salgono in coperta e iniziano a scrutare il mare. Inizialmente non notano nulla perché le grosse onde nascondono la barca, finché si rendono conto che in mezzo al mare, a circa 300 metri, c'è una barca fatiscente con a bordo 35 esseri umani che gridano aiuto. La Trilona naviga in loro direzione, ma il Comandante Caponetti è un marinaio esperto e sa che con quel mare agitato non può avvicinarsi eccessivamente, poiché la sua grande barca richinerebbe di far capovolgere la barca con i migranti. Non solo: il Comandante conosce anche la Legge, sa che se li facesse salire a bordo, rischierebbe l'accusa di traffico di migranti. "Non so perché fanno queste leggi" commenta Caponetti, che immediatamente contatta la Capitaneria di Lampedusa fornendo le coordinate; la Capitaneria, che a detta del Comandante si mette subito a disposizione, ordina alla Trilona di rimanere di guardia alla barca in attesa dei soccorsi, che impiegheranno almeno un'ora per giungere sul posto.
Allora il Comandante fa segno ai migranti di calmarsi e loro si rasserenano quando capiscono che i soccorsi stanno per arrivare. L'equipaggio della Trilona recupera tutti i giubbotti di salvataggio e i salvagenti a bordo, tenendoli lì a disposizione nel caso la barca si fosse capovolta, pronti a lanciarli ai migranti per recuperarli dal mare.
Quelle persone sono state abbandonate al loro destino da trafficanti senza scrupoli, che li ingannano facendo credere che saranno trasportati fino alle coste italiane: invece quando sono ancora in mare aperto, i trafficanti recuperano il motore e lasciano i migranti in balìa delle onde e in molti casi della morte. Destino che sarebbe toccato anche a queste 35 persone se tra quelle onde non avessero incrociato la navigazione della Trilona.
L'equipaggio del peschereccio parla italiano, i migranti parlano la loro lingua, eppure i due gruppi riescono a capirsi. Con le dita delle mani, i migranti fanno capire all'equipaggio della Trilona che si trovano in mare da sei giorni. E per spiegare che hanno sete, uno di loro immerge una bottiglia di plastica in mare, aspetta qualche secondo che questa si riempia, quindi se la porta alla bocca e inizia a bere acqua di mare nel disperato tentativo di dissetarsi. E davanti a quest'immagine disperata l'equipaggio della Trilona reagisce con immediata umanità: il Comandante ordina una manovra di avvicinamento, fino a trovarsi a una distanza tale da poter gettare loro bottiglie di acqua.
I tredici pescatori di Terrasini osservano i 35 migranti bere acqua potabile, una delle necessità umane più basilari.
Per circa un'ora sono in mezzo al mare, nient'altro intorno se non onde che si alzano sempre più forti; la prima barca, quella dei pescatori, che fa da scudo alla seconda barca, quella dei migranti.
Immaginate questa scena surreale ma densa di umanità: per un'ora i due gruppi stanno li in mezzo al mare, fissandosi negli occhi da lontano, consapevoli che il loro destino si è incrociato in uno strano gioco del caso.
I tredici pescatori di Terrasini rischiano la vita in mare per campare; i 35 migranti rischiano la vita anche loro per campare. I tredici pescatori di Terrasini stanno lontani dalle famiglie per lunghi periodi; i 35 migranti altrettanto. I tredici pescatori parlano italiano; i migranti sperano di salvarsi la vita per poter imparare la lingua e poterla parlare. I tredici pescatori di Terrasini sono bianchi (per quanto "bianco" possa essere un pescatore siciliano che lavora lunghe ore al sole); i 35 migranti sono neri.
Per un'ora questi due gruppi stanno lì a guardarsi, in mare aperto, dondolati dalle onde, sperando che il mare non li inghiotta e che i due destini non incrocino la morte. Un'ora che sembra interminabile, con i pescatori che vigilano sui migranti e questi che a loro volta li osservano in cerca di aiuto.
Un’ora che che nessuno di loro dimenticherà mai.
Quando finalmente arrivano i soccorsi l'incubo sembra essere finito. L'imbarcazione grigia della Guardia di Finanza giunge nei pressi della piccola imbarcazione fatiscente con a bordo i migranti, mentre la Trilona si mette di traverso per offrire riparo dalle onde e facilitare i soccorsi. L'istinto di sopravvivenza però rischia di mettere a rischio sia i migranti che i soccorritori: i primi infatti tentano disperatamente di aggrapparsi all'imbarcazione della Finanza tutti insieme, contemporaneamente, rischiando di farla capovolgere. Una scena che il Comandante Ottavio Caponetti descrive con un'immagine chiara: "Come i gatti che tentano di aggrapparsi per salvarsi". I finanzieri - racconta - sono costretti a colpire le mani dei migranti per costringerli a salire uno alla volta e non tutti insieme, rischiando così di finire in mare. L'operazione si conclude senza intoppi e le imbarcazioni sono pronte per ritornare a Lampedusa. La Trilona naviga facendo da scudo alla più piccola imbarcazione della Guardia di Finanza con a bordo soccorritori e migranti, finché giunti a poche miglia dalla costa quest'ultima procede verso il porto, mentre la Trilona rimane in mare. Quando si salutano, i migranti mandano con le mani dei baci di ringraziamento ai tredici pescatori di Terrasini.
Non si vedranno più, dopo che per oltre un'ora i loro destini si erano incrociati nell'agitato mare di luglio.
Quella notte il Comandante Ottavio Caponetti non riuscirà a dormire, continuando a ripensare a quell'immagine, a quelle 35 persone, la maggior parte delle quali di circa 16 anni, che chiedevano aiuto e che avevano sete. “Hanno visto la morte con gli occhi” ripete due volte Caponetti, “Hanno visto la morte con gli occhi”. Ma soprattutto pensa che sarebbe potuta andare diversamente.
"È una vita che sono a mare. Il lato più brutto non lo avevo visto, ma in questi anni si: brutto, brutto, brutto. Quella notte non ho dormito per i pensieri, ma poi sono rimasto contento di quello che abbiamo fatto. Se non li vedevo non li vedevo; ma se li vedo, pure a rischio di andare a fondo io, dovevo salvarli. Il mare era grosso e ho messo a rischio la vita del mio equipaggio, ma il mio equipaggio mi dava coraggio dicendomi "Dobbiamo stare qua, dobbiamo stare qua". lo ho la responsabilità di 13 vite, se succede qualcosa che va male sono io a pagarne le conseguenze. Però ho avuto l'equipaggio che mi ha dato tanto coraggio. lo non me ne sarei andato, ma l'equipaggio aveva la mia stessa mentalità. Dopo quello che è successo sono stati pure loro allegri, contenti che abbiamo salvato questa gente" racconta Caponetti.
Mentre a bordo si diffonde l'allegria della quiete dopo la tempesta e l’orgoglio di aver fatto la cosa giusta, di aver salvato delle vite umane, nei giorni successivi rimane la consapevolezza di aver condiviso con altri esseri umani un momento di profondissima umanità, ma l’amarezza di sapere che quel salvataggio è stato frutto della fortuna.
Una fortuna che non è privilegio di tutti.
"Mi avrebbe fatto piacere rincontrare queste persone che abbiamo salvato, ma non è facile, siamo rientrati noi ma anche altri tre gommoni di persone salvate. Non si sa quante persone rimangono in mare: nelle isole quando il mare si fa grosso ci sono grandi onde, non è come nelle vicinanze della costa, qui c'è il canale e il vento si fa forte.
Ma quel giorno sicuramente tante persone non ce l'hanno fatta, te lo dico io”.